Maria Valtorta – Evangelo cap. 30: L’annuncio ai pastori, primi adoratori del Verbo fatto Uomo.
Автор: I Messaggi della Madonna nel Mondo
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Maria Valtorta – Evangelo cap. 30: L’annuncio ai pastori, primi adoratori del Verbo fatto Uomo.
7 giugno 1944. Vigilia del Corpus Domini.
Più tardi vedo una vasta estensione di campagna. La luna è allo zenit e veleggia placida in un cielo gremito di stelle. Sembrano tante borchie di diamante infisse in un enorme baldacchino di velluto celeste cupo, e la luna vi ride in mezzo col suo faccione bianchissimo, da cui scendono fiumi di luce lattea che fa bianca la terra. Gli alberi spogli sembrano più alti e neri sul suolo così imbiancato, mentre i muretti, che qua e là sorgono a confine, sembrano di latte, e una casina lontana pare un blocco di marmo di Carrara.
Alla mia destra vedo un luogo cintato da una siepe di pruni su due lati e da un muro basso e scabro da altri due. Questo muro sorregge il tetto di una specie di tettoia larga e bassa, che nella parte interna del recinto è costruita parte in muratura e parte in legname, quasi che nell’estate le parti in legno debbano esser tolte e la tettoia mutarsi in porticato. Da questo chiuso esce, di tanto in tanto, un belare intermittente e breve. Devono essere pecorelle che sognano o che forse credono sia prossimo il giorno per il chiarore che dà la luna. Un chiarore persino eccessivo, tanto è intenso, e che cresce, quasi che il pianeta si avvicini alla terra o sfavilli per un misterioso incendio.
Un pastore si affaccia sulla porta e, portandosi un braccio sulla fronte per fare riparo agli occhi, guarda in alto. Pare impossibile che ci si debba riparare dal chiarore della luna. Ma questo è così vivo che abbacina, specie chi esce da un chiuso dove è tenebra. Tutto è calmo. Ma quella luce stupisce.
Il pastore chiama i compagni. Si affacciano sulla porta tutti. Un mucchio d’uomini irsuti, di età diverse. Ve ne sono di appena adolescenti e di già canuti. Commentano il fatto strano e i più giovani hanno paura. Specie uno, un fanciullo sui dodici anni, che si mette a piangere attirandosi le baie dei più vecchi.
«Di che temi, stolto?», gli dice il più vecchio. «Non vedi che aria quieta? Non hai mai visto splendere la luna? Sei sempre stato sotto le vesti della mamma come un pulcino sotto la chioccia, vero? Ma ne vedrai delle cose! Una volta io mi ero spinto verso i monti del Libano, oltre ancora. In alto. Ero giovane e non mi pesava l’andare. Ero anche ricco, allora… Una notte vidi una luce tale che pensai che fosse per tornare Elia sul suo carro di fuoco. Il cielo era tutto un incendio. Un vecchio — allora il vecchio era lui — mi disse: “Grande avventura sta per venire nel mondo”. E per noi fu sventura, perché vennero i soldati di Roma. Oh! ne vedrai, se campi!…».
Ma il pastorello non lo ascolta più. Pare non abbia neppur più paura, perché lascia la soglia e sguscia da dietro le spalle di un nerboruto mandriano, dietro il quale si era rifugiato, ed esce nello stazzo erboso che è davanti alla tettoia. Guarda in alto e cammina come un sonnambulo o come uno ipnotizzato da qualcosa che lo attira totalmente. Ad un certo punto grida: «Oh!» e resta come pietrificato, a braccia un poco aperte.
Gli altri si guardano stupefatti.
«Ma cosa ha quello stolto?», dice uno.
«Domani lo rimando a sua madre. Non voglio pazzi a custodia delle pecore», dice un altro.
E il vecchio che ha parlato poco prima dice: «Andiamo a vedere prima di giudicare. Chiamate anche gli altri che dormono e prendete i bastoni. Che non sia una bestia cattiva o dei malandrini…».
Entrano, chiamando altri pastori, ed escono con torce e randelli. Raggiungono il fanciullo.
«Là, là», egli mormora sorridendo. «Al di sopra dell’albero, guardate quella luce che viene. Pare cammini sul raggio della luna. Ecco che si avvicina. Come è bella!».
«Io vedo solo un più vivo chiarore».
«Io pure».
«Anche io», dicono gli altri.
«No. Io vedo come un corpo», dice uno in cui riconosco il pastore che ha dato il latte a Maria.
«È un… è un angelo!», grida il bambino. «Eccolo che scende e si avvicina… Giù! In ginocchio davanti all’angelo di Dio!».
Un «oh!» lungo e venerabondo si alza dal gruppo dei pastori, che cadono con il volto verso il suolo, e tanto più paiono schiacciati dall’apparizione fulgente quanto più sono anziani. I giovanetti sono in ginocchio, ma guardano l’angelo, che sempre più si avvicina e si ferma sospeso, ventilando le grandi ali, candore di perla nel candore di luna che lo circonda, al disopra del muro del recinto.
«Non temete. Non porto sventura. Io vi reco l’annuncio di una grande allegrezza per il popolo d’Israele e per tutto il popolo della Terra». La voce angelica è un’armonia d’arpa su cui cantino gole d’usignoli.
«Oggi, nella città di Davide, è nato il Salvatore». L’angelo, nel dire questo, apre più grandi le ali e le muove come per soprassalto di gioia, e una pioggia di faville d’oro e di pietre preziose pare ne sfugga. Un vero arcobaleno che fa un arco di trionfo sul povero stabbio.
«…il Salvatore che è Cristo»....
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