Domaine de la Sarbeche Saint Peray Blanc 2023
Автор: Trattoria Da Burde
Загружено: 2025-10-25
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Il Saint-Péray bianco del Domaine de la Sarbeche ha un colore già parla prima ancora di avvicinare il bicchiere al naso — un giallo dorato con una torbidi importante che tradisce una lavorazione poco ortodossa, con un tocco di macerazione e filtrazione minima. Non è il classico bianco pulitino da aperitivo, ma un vino che si è costruito un’identità a modo suo, in bilico tra tradizione e provocazione.
Al naso, il primo impatto è spiazzante: niente frutta fresca o fiori di campo, ma piuttosto resina, canfora, un accenno di cassetto polveroso, dove qualcuno, tempo fa, ha dimenticato un rametto secco di lavanda e qualche petalo di pot-pourri. Un tocco antico, quasi poetico, che apre le porte a suggestioni più familiari: pesca matura, ginestra assolata, e un'idea di agrume spento, come se qualcuno avesse scottato una scorza di limone con un cannello. È come entrare in una soffitta e ritrovare un profumo che non sentivi da anni, eppure ti sembra di conoscerlo da sempre.
Poi arriva la bocca, ed è lì che il vino fa davvero il suo gioco. Il sorso è ampio, morbido, privo quasi totalmente di acidità, ma mai stanco. La struttura importante, l’estratto ricco, regalano una trama vellutata, quasi materica. Ritornano la camomilla, la resina, lo zafferano, una punta di pepe bianco, e soprattutto una pulizia inaspettata che avvolge e accompagna il sorso senza mai appesantirlo. E nonostante i suoi 13 gradi abbondanti, non c’è calore fastidioso: è tutto ben fuso, ben nascosto, come un trucco ben riuscito.
L’abbinamento che lo ha messo davvero alla prova? Una ribollita toscana. Una sfida, perché spesso con questo piatto si pensa a un rosso robusto. E invece, la magia è successa proprio qui: il Saint-Péray, con la sua struttura ma senza l'acidità tagliente, ha saputo abbracciare la densità del cavolo nero, la dolcezza delle cipolle stufate, l’untuosità dell’olio buono, senza invadere, ma accompagnando. In quel momento, è saltato fuori persino un richiamo a un frutto nordico e misterioso: il camemoro — quella bacca gialla carnosa che cresce in Lapponia e che sa di sole freddo e muschio umido. E con il cavolo nero, credetemi, ha trovato un compagno d’avventura perfetto.
In conclusione, il Saint-Péray bianco della Sarbeche è un vino da ascoltare più che da bere, che non si concede subito, ma che una volta capito, lascia il segno. Ha il fascino delle cose fuori moda, di quelle che non devono piacere a tutti, ma che sanno farsi amare da chi ha voglia di scoprire. Un piccolo tesoro che parla piano, ma dice molto.
Cyril Milochevitch, inizia a lavorare in Domaine de la Sarbeche da molto giovane. Dopo pochi anni, nel 2014, decide di rilevare le vigne e l'azienda. La zona è quella di Saint Joseph e Saint Peray, la cantina si trova in un vecchio casolare nelle colline sopra Saint Peray. Con un approccio fuori dai canoni Cyril produce poche etichette, un Syrah, un Saint Joseph rosso, un Saint Peray e un bianco ossidativo. Uno dei nuovi volti della valle del Rodano.
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