La lebbra - XXVIII Domenica del T.O.
Автор: Giuseppe Mani
Загружено: 2025-10-10
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L’epopea del generale siriano Naaman della prima lettura ci introduce al vangelo, che ci narra la guarigione dei dieci lebbrosi.
La lebbra di un pagano porta alla fede. La legislazione levitica era severissima nei riguardi dei lebbrosi e, anche se il generale siriano non era sottoposto alla stessa legge, la lebbra era decisamente una malattia scomoda. Dopo aver consultato i medici illustri del suo paese, si interessa alla voce di una ragazza, serva di sua moglie, che gli parla di un misterioso profeta di Samaria.
Il desiderio di guarigione guida il generale verso il re d’Israele, ma soprattutto verso il profeta in questione, seguendo il consiglio che gli prescrive di andare a bagnarsi sette volte nelle acque del fiume locale. Collera! “I fiumi del mio paese non erano validi? Questo profeta ha tutta l’aria di un ciarlatano”. Interessante vedere come un uomo di guerra diventa docile davanti ad un profeta di Samaria. L’uomo forte piega la sua volontà ad una semplice parola taumaturgica o profetica. Aveva fatto la stessa cosa seguendo quanto gli aveva detto la ragazza di Israele, a servizio presso sua moglie. Per la parola del profeta del Signore il pagano entra nell’Alleanza. È la porta della fede.
La guarigione della lebbra, segno di salvezza. Per capire questo bisogna ricordare il significato della lebbra nella Bibbia. Umiliante sfigurazione, allontanamento dalla società. Per la Bibbia è segno di peccato, perché tutti si allontanano dal lebbroso. Per questo che la guarigione non può essere che un’opera di Dio. Il Re d’Israele dinanzi a Naaman che gli chiede la guarigione si straccia le vesti: “Sono io un Dio che può dare la morte o la vita?”.
Il Cristo che guarisce i lebbrosi non fa che reintegrare nella comunità dei viventi e manifesta la possibilità tangibile di una salvezza che può guarire una malattia che è ugualmente simbolica. Reinserimento nella comunità, reintegrazione, restaurazione di una creazione minata dalla corruzione della malattia e del peccato. Questa guarigione è il segno che Gesù è “Colui che deve venire”.
Molti secoli prima si è compiuta la salvezza per opera di Eliseo, che fa lavare nel Giordano Naaman il siro, purificandolo dalla lebbra: “La sua carne ridiviene fresca come quella di un bambino”. Il secondo miracolo è sicuramente la professione di fede quando si ripresenta davanti a Eliseo: “Sì. Io so ormai che non c’è un Dio su tutta la terra se non in Israele!”. Questa confessione è piena e intera, perché comprende il luogo del popolo di Israele col suo Dio: Naaman se ne andrà portando con sé della terra di Samaria per elevare a Damasco un altare al Solo Dio.
Le circostanze in cui la Salvezza deborda dalle strette frontiere del Popolo della Rivelazione. Questo allargamento degli spazi della salvezza è l’espressione dell’eccesso di Dio, di una magnanimità che non fa che annunciare l’universalità della salvezza. Testimoniano che Dio suscita tante iniziative per annunciare la sua salvezza, per metterla in opera, compresa la sorpresa.
In filigrana dietro il passo evangelico della guarigione di Naaman possiamo leggere: il battesimo che è manifestato dal bagno della purificazione, l’importanza dell’entrata nella fede, l’integrazione nella comunità dell’alleanza. Il sacramento della fede comunica ai pagani che noi siamo la “grazia di Colui che viene”. Gesù, il Messia d’Israele.
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