Ruoppolo Teleacras – Se Giovanni Brusca non avesse collaborato…
Автор: Bestiacane
Загружено: 2025-06-06
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A margine dell’indignazione per la liberazione di Brusca, l’ex capo della Squadra Mobile di Palermo che lo ha catturato, Savina, ne riconosce il ruolo determinante nella lotta a Cosa Nostra. Il servizio di Angelo Ruoppolo.
Luigi Savina è l’ex capo della Squadra Mobile di Palermo che il 20 maggio del 1996 catturò Giovanni Brusca ad Agrigento, a Cannatello. Adesso, a fronte delle polemiche e dell’indignazione sollevate dalla liberazione definitiva del boia di Capaci, è lo stesso Savina a gettare acqua sul fuoco, riconoscendo come essenziale e determinante il contributo dei collaboratori della giustizia, come Brusca, per sconfiggere, tra il tanto altro, l’ala stragista di Cosa Nostra, ovvero Riina e gli amici di Riina, la guerra allo Stato. Savina ha dichiarato all’Ansa: “Capisco i cittadini perplessi per la scarcerazione di Giovanni Brusca ma io ho fatto l’investigatore quando non c’era la norma sui collaboratori. Quando è stata introdotta voluta da Giovanni Falcone, i successi collegati a questa norma, che ha permesso di svuotare Cosa Nostra dall’interno, sono sotto gli occhi di tutti”. Poi Savina sottolinea: “La cattura di Brusca e la sua collaborazione sono state fondamentali come altre perché hanno eliminato e reso inoffensiva la cosiddetta ala stragista. Iconica è stata la cattura di Brusca ma ancora più la sua collaborazione”. E Savini ha ricordato l’arresto di Brusca e di suo fratello Enzo: “Il telefono cellulare intercettato ce lo faceva localizzare in una certa zona, ma con le schede sim Gsm era impossibile fare la localizzazione. Individuata l’ipotetica casa, un ragazzo della Mobile propose di bucare la marmitta di una moto in maniera che facesse un rumore particolare. Quando c’era una telefonata di Brusca in corso, il motociclista è passato e ha dato due accelerate e il rumore si è sovrapposto. Era la certezza che Brusca era lì, in quella villetta, e quindi lo abbiamo catturato”. Non vi è mai stato un pentimento più discusso di quello di Giovanni Brusca. Lui, infatti, ha ottenuto la patente di pentito solo dopo quattro anni, nel marzo del 2000. Appena fu arrestato progettò invece un depistaggio per screditare l’antimafia. Si accordò a gesti con il fratello Enzo in aula durante un processo e accusò Luciano Violante di avere organizzato, con l’aiuto dei pentiti, un complotto. Poi fu tradito dallo stesso fratello Enzo che raccontò tutto ai magistrati e così anche lui, Giovanni, ammise di avere raccontato falsità. Nel 2016 Giovanni Brusca testimoniò il proprio ravvedimento, e dichiarò in un’intervista a una Tv francese, poi rilanciata dal “Corriere della Sera” e da “La Stampa”: “Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista: non so dove mi porta, cosa succederà, spero solo di essere capito. Ho deciso di farlo per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell’anima che è nata l’intenzione di farlo… Di poter chiedere scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime, a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere. Ho cercato, in questi anni da collaboratore di Giustizia, di dare il mio contributo, il più possibile, e dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia… E chiedo scusa principalmente a mio figlio e a mia moglie, che per causa mia hanno sofferto e stanno pagando anche indirettamente quelle che sono state le mie scelte di vita: prima da mafioso, poi da collaboratore di giustizia, perché purtroppo nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato, viene sempre disprezzato, quando invece credo che sia una scelta di vita importantissima, morale, giudiziaria ma soprattutto umana. Perché consente di mettere fine a Cosa Nostra, che io chiamo una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un’agonia continua”.
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