INDOVINA CHI VIENE A PRANZO MICHELE LUONGO FOTOGRAFO DOCUMENTARISTA
Автор: Lucania.tv
Загружено: 2025-11-07
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Si domanda se il governatore Bardi li abbia visti tutti, i 131 comuni della regione che amministra, ma lui li ha sicuramente visitati uno per uno, macchina fotografica al collo, per raccontare un mondo che scompare. Michele Luongo, 62 anni, documentarista fotografico originario di Tito (Potenza), da anni è seguito da migliaia di persone sui social per la sua serie “Il mio viaggio in Basilicata”: un archivio di volti, strade e paesi –spesso in un evocativo b/n- che restituisce l’anima più autentica e fragile della regione.
«Il documentarista non è solo un fotografo», spiega. «È qualcuno che sente il dovere di fissare nel tempo ciò che sta svanendo». Dal 1982 Luongo scatta per passione, non per mestiere. «Non ho guadagnato un centesimo in quarant’anni. Volevo documentare la Basilicata prima che cambiasse per sempre». Dopo una pausa negli anni Novanta, è tornato a fotografare nel 2011, dedicandosi interamente al progetto che lo ha portato a percorrere ogni borgo, dall’Appennino al Pollino.
Nel suo obiettivo finiscono anziani seduti sulle scale, vicoli silenziosi, portali incastonati nella pietra, ma anche le ultime forme di convivialità: donne che fanno la pasta la domenica mattina, chiacchiere sull’uscio, gesti di ospitalità spontanea. «La Basilicata sta perdendo la sua abitudine allo stare insieme. Oggi i vicoli sono deserti, i paesi sono svuotati. Persino a Tito, dove sono nato, la sera non c’è più nessuno per strada. Lo stesso accade a Brienza, Avigliano, Satriano. Non c’è più quello “struscio” che faceva comunità».
Luongo parla di servizi sanitari di prossimità che scompaiono, e usa il termine “post-moderno” per descrivere i nuovi centri ricostruiti dopo il terremoto del 1980, dove il cemento ha cancellato un pezzo d’identità. «Pochi paesi hanno conservato il loro volto originario: Guardia Perticara, Carbone, Calvera. Altrove vedi solo desolazione».
Nel viaggio attraverso la regione, Luongo ha trovato un filo comune: lo spopolamento. «Mi criticano perché fotografo solo gli anziani, ma io loro trovo nei paesi!», sospira. È una Basilicata di finestre chiuse, di piazze silenziose e di una politica lontana. «La gente vuole parlare, raccontare, chiedere, ma nessuno la ascolta. Manca la comunicazione dal basso, manca la prossimità».
Eppure, tra queste fotografie di malinconia, emergono anche segni di gentilezza antica. « A Castronuovo una signora mi ha portato l’ombrello sotto la pioggia e mi ha invitato in casa per un caffè». Diversa, aggiunge, la situazione nel Capoluogo, la città, Potenza: «Se fai le foto in Centro, ti chiedono “perché?”. Nei paesi sono più aperti, si fanno fotografare e basta. E poi ho sentito io stesso potentini “veraci” sminuire la loro città agli occhi del turista che chiedeva informazioni, chiosando: “Ma che siete venuti a fare, qui non c’è niente!”. A Matera hanno saputo valorizzarsi, non c’è da fare campanilismi. Potenza avrebbe tanto da raccontare, se solo ci si credesse davvero. Perché non organizzare le visite in Apecar anche da noi, come accade in alcuni paesi?».
Nel suo viaggio Luongo ha raccolto anche grida di dolore: «In tanti comuni ho trovato anziane che mi parlavano dei figli lontani, dei nipoti mai conosciuti. Una signora di Cersosimo, sulla porta, mi diceva: “Figlio mio, io qua sto tutti i giorni, la strada qua è senza uscita, aspetto sempre che il Patraterno mi prenda!”. Eppure vorrei un giorno fotografare piazze piene di gente, segno che i giovani sono tornati, che la convivialità è rinata».
Sogna una Basilicata che riparta dai suoi borghi, dai castelli, dalla cultura diffusa. «Paese che vai, castello che trovi», dice con orgoglio e rammarico insieme. E lamenta l’assenza di un assessorato regionale alla cultura. Nel frattempo, il suo viaggio continua.
E magari –la chiosa è nostra- qualche volta Bardi potrebbe chiedergli un passaggio.
Di Walter De Stradis
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